Audrey Mestre

ottobre 11, 2007

3651.jpgAudrey Mestre, il 12 Ottobre 2002, avrebbe dovuto festeggiare l’ennesimo record insieme al marito, il primatista cubano Francisco “Pipin” Ferreras.
Invece quel giorno venne stabilito un primato infausto per la storia dell’apnea: Audrey rappresenta la prima vittima di un tentativo di record della disciplina.

Nasce a St. Denise, in Francia, l’11 Agosto 1974.
Familiarizza con l’acqua fin da piccola, stimolata dal nonno e dalla madre, pescatori sub in apnea. A tre anni vince la sua prima gara di nuoto.
A tredici comincia ad immergersi con l’autorespiratore, appassionandosi alla biologia marina. Nel 1993 si iscrive all’Università  di La Paz, in California, ed è proprio lavorando alla sua tesi di laurea sulla fisiologia marina che, nel 1995, conosce il campione Pipin.993221648.jpg
Entra a far parte del suo team nel 1996, diventando anche sua compagna di vita ed allieva.
Audrey dice di Pipin: “E’ un maestro eccezionale ti insegna tutto, ma veramente tutto senza segreti e non dimentica mai la sicurezza. Sott’ acqua non ha mai avuto attimi di esitazione né provato paura.”
Eppure quel giorno diverse cose non funzionarono. Furono innegabili le carenze organizzative e di assistenza medica. Una cima di discesa ed una zavorra non adeguate alle condizioni meteomarine. Il pallone di risalita che si blocca più volte.
Ancora più carente è  l’assistenza in acqua: troppa distanza tra il sommozzatore altofondalista, a -171 mt, ed il successivo assistente posizionato a -80 mt.
Continuare a discutere sulla morte di Audrey è inutile. Alla luce di questi fatti, viene da chiedersi se sia  corretto sfidare i limiti umani, compiendo gesti che possono costare la vita.
Cosa cerca chi pratica sport estremi, dove ci si espone a rischi che possono sembrare inutili? Insegue un limite fisico o interiore? Cerca la gloria o se stesso?  
Non credo sia possibile dare una risposta.
Quella, è dentro ognuno di noi.
© P.f.d.

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”Ogni volta risalire è una scelta: sono io che torno a riappropriarmi della mia dimensione umana, metro dopo metro, per venire di nuovo alla luce.”
 Umberto Pellizzari


Luigi Ferraro

agosto 17, 2007

ferraro.jpgIl 5 gennaio 2006 si spegneva a Genova Luigi Ferraro.
Nato a Quarto dei Mille il 3 novembre 1914. Decorato con la medaglia d’oro al valor militare per le sue temerarie azioni, compiute durante la seconda guerra mondiale come incursore, viene ricordato dal mondo della subacquea soprattutto per le sue invenzioni.
Nei primi anni ’50 progetta la maschera con l’alloggio per il naso, per facilitare la compensazione. Quasi contemporaneamente crea le prime pinne a scarpetta con il foro in punta per favorire il movimento delle dita dei piedi.
E’ il creatore della “Technisub”, azienda leader nella produzione di attrezzature subacquee.
Ricordo ancora la mia prima muta, avevo appena otto anni, col classico marchio quadrato giallo con pesce e compasso. Realizzata in neoprene zigrinato all’esterno e la fodera arancio all’interno.
Presidente onorario di HDS-Italia, ha dedicato la sua vita da civile al mondo della subacquea ricreativa. Ha contribuito alla nascita della CMAS: Confederazione Mondiale per le Attività Subacquee. Organizzatore in Italia dei primi corsi ARA e ARO.
Inoltre, ha realizzato il primo corso per vigili del fuoco sommozzatori, in seguito per l’arma dei carabinieri e ,infine, della guardia di finanza.
Tanto altro è stato fatto da colui che, sicuramente, può essere considerato uno dei padri della subacquea Italiana. Tutto è raccolto in due libri dedicatigli: “Luigi Ferraro, un italiano” e “Dominare gli istinti: proselitismo, insegnamenti, invenzioni e scoperte del Comandante Luigi Ferraro, Medaglia D’oro al Valor Militare che ha dedicato tutta la sua vita civile al mondo subacqueo”.
Parecchio del confort e delle innovazioni tecnologiche che oggi, noi sub, portiamo in acqua, sono dovute a lui.
Grazie Comandante. 

© P.f.d.


Jacques Yves Cousteau

agosto 17, 2007

“Eravamo giovani quando ci siamo dedicati alla scoperta, all’esplorazione. Quando quello che ci interessava era scendere più profondo e vivere sul fondo del mare, recuperare i resti di una grande galera romana, affrontare gli squali, terrificanti e misteriosi mostri marini. E la gioventù è grintosa, entusiasta, totale, egocentrica, estremista, spericolata. Eravamo giovani e pensavamo a noi stessi, alla realizzazione dei nostri sogni.
Poi siamo diventati adulti. Dunque più altruisti, più riflessivi. Allora l’interesse maggiore è diventato quello di raccontare le nostre esperienze, di coinvolgere gli altri nella nostra avventura. Lo scopo della vita è divenuto quello di infiammare gli animi, di accendere gli entusiasmi. Ci siamo resi conto che un uomo da solo non è nulla, se non si rapporta a quelli che lo circondano. Attraverso le immagini, attraverso i racconti, le esperienze vissute cambiavano forma, acquistavano spessore. Solo attraverso la divulgazione, la crescita dei singoli poteva diventare la crescita dell’intera umanità. Solo così il patrimonio di ognuno poteva entrare a far parte della cultura di tutti.
Oggi abbiamo percorso il mondo in lungo e largo, ne abbiamo svelato e raccontato i segreti. Ora bisogna impegnarsi per conservare tutto questo. Ora si deve far sì che le immagini dei film, le storie dei libri non rimangano fine a se stesse. Bisogna lottare perché tutti abbiano diritto ad una vita felice in un pianeta ancora integro.”
 
jacques_cousteau.jpgJacques Yves Cousteau nasce l’11 giugno 1910 a Saint-André-de-Cubzac in Francia. Viaggiatore, fin da piccolo, per motivi di lavoro del padre, entra nel 1930 nell’Accademia navale.  Un incidente all’età di 26 anni condizionerà la sua vita. Per riabilitarsi fisicamente fu spinto dai medici al nuoto. Gli occhialini che utilizzava lo spinsero ad osservare quello che egli stesso definirà “il mondo del silenzio”.
Partecipò alla resistenza della seconda guerra mondiale come spia. In quel periodo, per l’esattezza nel 1943, inventò, insieme all’ingegnere Emile Gagnan quello che rivoluzionerà il modo di andare sott’acqua: l’ ”Aqua-lung”, il primo erogatore subacqueo. Nonostante siano trascorsi più di 60 anni e qualche materiale sia cambiato, il principio di funzionamento è rimasto tale e quale.
Nello stesso periodo, coltivando la passione per la ripresa subacquea mise a punto delle “cineprese sottomarine” e nel 1963, insieme a Jean de Wouters, sviluppò il progetto per una macchina fotografica subacquea, brevettata dalla Nikon come “Nikonos”.
Insieme alla “Calypso”, la mitica nave per ricerche oceanografiche, organizzerà le spedizioni durante le quali realizzerà capolavori come “Il mondo del silenzio”, film premiato con Oscar e Palma d’Oro, e “Mondo senza sole”.
Grazie ai suoi esperimenti “Precontinente” furono gettate le basi per l’immersione in saturazione, pietra miliare nel campo dell’immersione professionale.
Diverrà direttore del Museo Oceanografico di Monaco e nel 1974 fonderà la Cousteau Society per la protezione della vita oceanografica.
Grazie alla sua forma semplice e comprensibile di condivisione di concetti scientifici, viene considerato un pioniere dell’informazione documentaristica.
Muore il 25 giugno 1997. Ammirato e benvoluto in tutto il mondo, non solo da coloro che amano il mare.
Resta un simbolo indimenticato dell’avventura, della natura e dell’esplorazione.

© P.f.d.


Jacques Mayol

agosto 17, 2007

“L’uomo che si immerge in mare in apnea, cioè trattenendo il respiro, non fa soltanto un ritorno temporaneo su se stesso: fa anche un ritorno istantaneo all’origine del Tutto.
Ad intimo contatto del Mare e della Natura, col controllo dell’apnea e la padronanza della respirazione, questa funzione-chiave che tiene la leva di comando di quasi tutte le altre, l’Homo delphinus imparerà di nuovo a prendere possesso del proprio corpo e a risvegliare altre facoltà sepolte da miliardi di anni nel più profondo del suo bagaglio genetico.”
jacque1.jpgNasce a Shangai, in Cina, nel 1927 da genitori francesi. Dopo aver trascorso l’adolescenza a Marsiglia, vive in giro per il mondo facendo diversi mestieri.
Al “Seaquarium” di Miami nasce l’amore per i delfini che lo porterà a trascorrere la maggior parte della sua vita tra i flutti. Pluriprimatista mondiale di immersione in apnea, è stato il primo uomo a superare la barriera dei 60 mt nel 1966 ed il primo a raggiungere i 105 mt nel 1983, il suo ultimo record all’età di 56 anni.
E’ al Mayol cavia umana che si devono la maggior parte delle conoscenze sui mutamenti fisiologici indotti nel corpo umano dall’iperbarismo.
Diventato famoso nel mondo col soprannome di “Uomo delfino”, probabilmente dal titolo del suo libro Homo delphinus, ha unito la spiritualità della pratica yoga al trattenere il respiro.
Si è suicidato nel dicembre del 2001 nella sua casa di Calone, all’isola d’Elba, dove viveva da diversi anni.
Con la sua morte, probabilmente causata da una profonda depressione che lo opprimeva da qualche mese, se ne và un pezzo di storia dell’immersione in apnea.

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Enzo Maiorca

agosto 17, 2007

“Continuo a inseguire una bellissima balena bianca, e là dove si immerge viene fuori l’arcobaleno. Il mio arcobaleno viene fuori non dalle pentole d’oro, ma da questa balena che si va spostando nel mio mare.” 
enzo_maiorca.jpgEnzo Maiorca, antagonista indiscusso di Jacques Mayol, nasce a Siracusa il 21 giugno 1931.
Il suo nome è indissolubilmente legato al mare, anche se, come lui stesso confessa, da bambino ne aveva profondo timore.
Ha compito studi classici coltivando fin da piccolo diversi sport, soprattutto acquatici, come canottaggio e pesca subacquea, praticata alla profondità di 3-4 metri.
Nell’estate del 1956, un amico medico, gli mostra un articolo su un record di profondità in apnea a -41 mt.
Maiorca ne è tanto influenzato da decidere di entrare in competizione per diventare l’uomo più profondo del mondo.
Nel 1960 corona il suo sogno raggiungendo i – 45 mt.
Da quel momento sarà un susseguirsi di record che lo porteranno oltre i 100 mt di profondità. Riceve, per le sue imprese, numerosi riconoscimenti: nel 1964
la Medaglia d’Oro al valore atletico dal Presidente della Repubblica, e poi il Tridente d’Oro di Ustica; il Premio letterario del C.O.N.I. e la Stella d’Oro al merito sportivo sempre del C.O.N.I.
Fu lui, nel 1962, col suo record di – 50 mt stabilito a Ustica, a smentire le previsioni del fisiologo francese Pierre Cabarrou il quale aveva dichiarato che, superare quella quota sarebbe significato “fracassarsi”.
Grazie alla sua enorme forza di volontà, gli è stata attribuita la nomea di leggenda vivente.

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Francesco Alliata

agosto 17, 2007

Era il 1945 quando Pietro Moncada, principe di Paternò, un socio del “circolo della vela” di Palermo, venne in possesso di una maschera, un paio di pinne e un fucile subacqueo.  
Fu allora che Francesco Alliata, principe di Villafranca e duca di Salaparuta, affascinato dalla novità di una possibile esplorazione subacquea, decide di costruirsi una maschera con un vetro e una camera d’aria di camion, copiando quella dell’amico Moncada.
Coinvolti altri due soci del circolo, il barone Renzo Avanzo e Quintino Di Napoli, i quattro amici cominceranno a battere i fondali di Ustica a bordo di un vecchio motoveliero: il “San Giuseppe”.
Mentre gli amici si dedicano alla pesca, lui, spinto dalla sua grande passione per le cineriprese, decide di realizzare riprese subacquee mettendo a frutto l’esperienza acquisita: durante la seconda guerra mondiale, arruolatosi come ufficiale, crea il “Cinereparto”. Sono suoi molti dei documenti fotografici e cinematografici delle azioni di guerra.
uwgraffitialliata01c.jpgProgetta e costruisce una custodia sub in ferro per la macchina fotografica Rolleiflex e, sempre dello stesso materiale, una per la cinepresa Arriflex 35 mm.
Con quest’attrezzatura realizzerà, nel 1946, il primo documentario subacqueo professionale girato in mare aperto: “Cacciatori del mare”.uwgraffitialliata06.jpg
I tremila metri di pellicola, girati totalmente in apnea, si riducono a 12 minuti di documentario.
Per  le sue emozionanti immagini, accompagnate dalle musiche di Renzo Rossellini, fratello del regista Roberto, verrà selezionato al festival di Cannes.
Il documentario, inoltre, sarà premiato anche al festival di Stresa e quello di Taormina.
Il successo spinge Alliata a fondare, con i suoi tre amici, la casa cinematografica palermitana “Panaria Film”. In collaborazione con la “Artisti Associati Italiani” produrrà il film “Vulcano”, diretto da William Dieterle, con Anna Magnani e Rossano Brazzi.uwgraffitialliata02.jpg Si occuperà personalmente delle riprese subacquee, utilizzando per la prima volta l’autorespiratore.
Gira una quindicina di documentari con la sua attrezzatura personale, tra cui “Tra Scilla e Cariddi” e  “Tonnara”. Nel secondo, per la prima volta, una cinepresa entra all’interno della “camera della morte” delle tonnare.
E’ di sua produzione “Sesto continente”. Il documentario che consacrerà l’allora giovanissimo Folco Quilici. 

© P.f.d.

Foto d’epoca tratte dal sito di HDS Italy


Raimondo Bucher

agosto 17, 2007

A volte ci serviamo del termine vecchiaia come alibi: in realtà è solo una scusa. E’ vecchio chi ha rinunciato all’essenza della vita. (…)l’entusiasmo che avevamo da bambini, quando scoprivamo il mondo, dobbiamo portarlo con noi sempre perché nulla e definitivo, e certamente c’è sempre qualcosa da scoprire, da apprezzare.1980ikelitemodificata.jpg
Raimondo Bucher nasce in Ungheria il 15 marzo 1912, da padre italiano. Trascorre la giovinezza in Austria, dove si distingue come atleta in varie discipline sportive quali nuoto, arti marziali e atletica leggera. Non sono da meno, sempre nello stesso periodo, le sue imprese in alta montagna.
Trasferitosi in Italia nel 1932, diventa istruttore di volo e acrobazie alla “Scuola di pilotaggio aereo di Bergamo”.
Durante la guerra di liberazione, nel 1943, assegnato al reparto caccia, si schiera con gli alleati partecipando a numerose azioni belliche.
Durante quel periodo, Bucher, comincia a dedicare molto tempo della sua vita alla subacquea. Indossate rudimentali pinne e maschere, il suo talento spicca immediatamente.
Nel 1950, stabilisce il primo Record Ufficiale Mondiale d’immersione in apnea a meno 30 mt . Come testimonianza dell’impresa, recupera una pergamena, dentro un contenitore, dalle mani di un palombaro.
Nel 1952, sfidando tutte le previsioni scientifiche di morte certa, stabilisce il record dei 39 mt.
Primati di apnea a parte, lo si ricorda anche per le sperimentazioni scientifiche e le innovazioni portate nell’ambito della subacquea. Risalgono al 1938 i suoi studi sulla compensazione dell’orecchio medio. In campo subacqueo sue le pinne Bucher, gli erogatoti “ad offerta”, il “Gab” o giubbotto ad assetto Bucher. La realizzazione di un aliante per esplorazioni subacquee ed infine, non meno importante, l’utilizzo delle guarnizioni O-Ring nella costruzione delle custodie per cineprese subacquee.
Nel 1952 e 53, diventa capo spedizione del gruppo sportivo per la realizzazione del documentario “Sesto continente” in Mar Rosso.
Esegue diverse esplorazioni, tra cui il percorso sotterraneo del fiume Bussento, le grotte sommerse di Capri e quelle in Sardegna. Nel 1956, scopre la città sommersa di Baia nel golfo di Napoli.
Nel campo dell’immersione con l’autorespiratore, stabilisce diversi primati, effettuandone oltre 3000, comprese tra gli 80 e i 115 mt.
Nel 1960 viene premiato ad Ustica col tridente d’oro.
Nel 1995, alla veneranda età di 84 anni, fa riprese video del relitto Klearkos a ben 83 metri.
Personaggio spesso scomodo e pungente, ma comunque stimato nell’ambito della subacquea, per le sue battaglie per la difesa dell’immersione con l’autorespiratore.

© P.f.d.


Storia della subacquea – Le origini

agosto 17, 2007

”…improvvisamente sentii dentro
di me un’agitazione e in petto
il desiderio travolgente
di un’altra natura.
Non potei resistere a lungo.
“Addio, terra, addio!” dissi.
“Mai più ti cercherò!”
e con tutto il corpo
mi tuffai sott’acqua.”
Ovidio, Le Metamorfosi

Sembra che Jules Verne abbia dato vita al Capitano Nemo lasciando raramente la camera del suo appartamento parigino. La fervida immaginazione dello scrittore ha dato vita ad un capolavoro, ma, probabilmente, i racconti delle esplorazioni degli abissi hanno dato al romanziere una base su cui fondare il racconto.
Le fantasie che la sterminata distesa blu ha suscitato nell’uomo, qualche migliaio di anni addietro, le si possono leggere nell’enorme quantità di storie e leggende giunte fino a noi. In molte sono entrate a far parte di tradizioni popolari, e in altri casi sono divenute colonne portanti della nostra cultura sotto forma di capolavori della letteratura: l’Odissea, gli Argonauti, le Metamorfosi, Moby Dick ecc…
I fondali marini divengono dimora di divinità e creature mostruose. Dio incontrastato del mare e delle acque è Poseidone, circondato da una corte di tritoni, nereidi, e Ippocampi che scortano bighe trainate da cavalli alati. Vi sono esseri mostruosi come Scilla e Cariddi, o le sirene, manifestazione delle insidie del mare, che da benevolo poteva mutarsi in avverso e crudele per gli incauti naviganti che osavano sfidarlo.
L’uomo ha caratterizzato le creature degli abissi di una natura crudele. A parte i delfini, descritti come amici degli esseri umani e delle divinità, di cui, il dio del mare ne ha immortalato l’effige nel firmamento.
Per via dell’ancestrale paura dell’ignoto sono diventate leggendarie creature come il calamaro gigante, il temibile Kraken dei racconti norvegesi. La balena, immortalata da Melville nel suo Moby Dick, o come si legge nella bibbia, il Leviatano, il grande serpente marino:
“Fa ribollire come pentola il gorgo,
fa del mare come un vaso di unguenti.
Dietro a sé produce una bianca scia
e l’abisso appare canuto.
Nessuno sulla terra è pari a lui,
fatto per non aver paura.
Lo teme ogni essere più altero;
egli è il re su tutte le fiere più superbe.”
Giobbe(41, 1-27)
Sempre nella Bibbia, il mare, è in instabile equilibrio con la terra, pronto ad irrompere col suo seguito di creature, che sono la personificazione del caos e del nulla. Il litorale è il confine del grande baratro. Come scritto in Giobbe:
“Fin qui tu verrai, e non oltre; qui si fermerà l’orgoglio dei tuoi flutti.”

Il mare è lo strumento della grandezza divina da scatenare   per punire gli uomini, come in Davide, o in Giona e perfino in Mosè.
L’uomo biblico non lo scruta con amore ed è impensabile che lo reputi fonte di vita, nutrimento o ricchezze. A differenza di altre culture, in cui, invece è all’origine di tutto.
In Egitto, in un testo inciso sulla pietra di una piramide si legge:
“Quando gli dei e gli uomini
non esistevano ancora
e non c’era ancora la morte,
nacquero la terra e l’acqua
dal primordiale oceano del caos”

Probabilmente, la grande paura che il mare suscitava nell’uomo era il non riuscire a stabilirne la profondità.
Platone scrisse che il suo fondo era in comunicazione col centro della terra tramite buchi, di diverso diametro, che garantiscono la circolazione dell’acqua, del fuoco e della lava. Attraverso questi antri, alle origini, l’acqua è risalita dalle profondità del pianeta, creando il mare.

E’ difficile riuscire a datare quando l’essere umano abbia effettuato i primi tentativi di esplorazione delle profondità marine. E altrettanto più difficile è stabilire quale sia stata la motivazione. Pura curiosità e innato spirito di avventura? Motivazioni mistiche, generate dal desiderio inconsapevole di riunirsi all’elemento che lo aveva generato? O forse, semplicemente, necessità pratiche di sopravvivenza?
Come narra Jacques Mayol:
“La storia ci prova che non c’è mai stato un inizio dell’immersione o, se si vuole, che la facoltà di immergersi è apparsa con il primo uomo e che essa è proprio iscritta nel suo corredo. In Occidente come in Asia, in Africa come in Polinesia, nel Mediterraneo come nel Mar Rosso, l’uomo s’immerge.”
Fin dall’antichità, per nutrirsi, l’essere umano ha sviluppato particolari abilità e tecniche per potersi adattare alle risorse offerte dall’ambiente circostante. Ciò è avvenuto anche in ambito subacqueo: risalgono a circa 7-10.000 anni fa gli ingenti cumuli di conchiglie ritrovati vicino ai manufatti abitativi di una comunità costiera del Mar Baltico. Identificata dai paleontologi Danesi col nome “Kjokkenmodinger”, ovvero “mangiatori di conchiglie”.
Distanti geograficamente, ma dello stesso periodo, sono i resti umani mummificati scoperti sulle coste di Atacama, in Cile. Tra i corpi erano presenti ossa di balena e ami intagliati da conchiglie. Dall’analisi dei teschi, sono state rilevate delle esostasi, degli ispessimenti degli ossicini delle orecchie. Queste testimoniano l’esposizione all’acqua fredda e ripetute immersioni.
Sono opera di artisti Babilonesi gli oggetti, incrostati di madreperla, realizzati circa 4.500 anni fa, rinvenuti a Bisunaya.
In quello stesso periodo, i pescatori cretesi raccoglievano spugne a profondità di tutto rispetto, mentre indiani e cinesi pescavano ostriche, perle e madrepore. Inoltre, era diffusa la pesca del Murex, un mollusco da cui veniva estratta la porpora.
Degli strani piccoli occhiali, probabilmente utilizzati per l’immersione, circa 3.000 anni or sono, sono stati ritrovati nelle isole Salomone. Le lenti sono realizzate da   scaglie di carapace di tartaruga, finemente assottigliata, fino a diventare trasparenti.
Manufatti simili venivano adoperati dai pescatori in Persia, nel Cylon, nel Mar Rosso e nell’Oceano Pacifico.
Cenni scritti, che narrano dell’uomo subacqueo, si trovano nel XVI canto dell’Iliade, dove il troiano Cebrione viene paragonato ad uno dei numerosi tuffatori greci:
”Ma se venisse anche sul mare pescoso,
questi cercando ostriche, sazierebbe parecchi,
gettandosi dalla nave, pur col mare cattivo,…”

Il primo reperto archeologico che riproduce uomini sott’acqua risale all’880 a.C.: un affresco assiro, raffigura soldati che eludono i nemici nuotando sul fondo di un fiume, con un otre al collo, collegato alla bocca tramite un tubo.
Erodoto, nel 480 a.C., cita le imprese di Scylla e sua figlia Cyana che, durante la battaglia di Salamina, nuotando sott’acqua con l’ausilio di un giunco cavo per respirare, raggiungono le navi di Serse per tagliarne le cime di ormeggio. La flotta persiana, spinta sulle scogliere dal forte maestrale, subisce gravi danni. Scylla e Cyana nel racconto, tornarono a tuffarsi sui relitti delle navi affondate per recuperarne il carico.
Secondo Tucidide, durante l’assedio di Siracusa, nel 414 a.C., abili tuffatori ateniesi riuscirono ad abbattere le barriere sommerse erette a protezione degli ormeggi delle navi siracusane.
Il primo a descrivere tecniche e strumenti per l’immersione subacquea fu Aristotele. In alcuni suoi scritti parla di cannelli con l’estremità che emerge dalla superficie del mare e dei “lèbàta”: dei catini, all’interno dei quali, portati sott’acqua rovesciati, restava l’aria intrappolata. Questi ultimi venivano utilizzati dai pescatori, i quali, infilandoci la testa, riuscivano a rifornirsi d’aria. Nei Problemi, invece, descrive alcuni malesseri conseguenti l’immersione, accennando a guai alle orecchie e fuoriuscita di sangue dal naso.
La passione di Aristotele per il mondo sommerso coinvolge il suo allievo Alessandro Magno. In alcuni manoscritti conservati nella Biblioteca Nazionale Francese, l’Imperatore, nel 325 a.C., si cimenta nell’esplorazione dei fondali marini.
A quanto sembra, su idea dello stesso Aristotele, fece costruire una botte ben calafatata, rinforzata con lastre di bronzo e dotata di aperture provviste di vetri che consentivano l’osservazione dell’ambiente esterno. La progettazione e la realizzazione della macchina, denominata da Eraclito “Skaphe andros”, letteralmente uomo barca, viene attribuita a Diognetus con la manodopera dei cantieri di Sidone.
Il rudimentale sottomarino, imbarcato su una nave, venne portato sul luogo dell’immersione e rifornito di viveri, lampade ad olio ed indumenti contro il freddo. Insieme all’Imperatore, vi prese posto anche Nearco, comandante della flotta macedone.
In un racconto dove non si comprende la fine della leggenda e l’inizio della realtà, Alessandro Magno narra di avere osservato che sott’acqua i colori spariscono e che diversi abitanti del mondo sommerso, tra cui una sirena, si siano avvicinati alla macchina. Il Sovrano racconta inoltre di aver visto i pesci grandi mangiare quelli piccoli, cosa che rende il fondo del mare molto simile alla terra.
Delle truppe di Alessandro facevano parte gli “utricularii”, veri e propri nuotatori da combattimento. Per respirare sott’acqua utilizzavano un otre pieno d’aria, infatti, il termine deriva dal latino “utriculus”, piccolo otre. Oppure un tubo che raggiungeva la superficie, paragonabile all’attuale boccaglio. E’ loro opera, nel 332 a.C., durante l’assedio dell’isola di Tiro, la distruzione degli sbarramenti sommersi predisposti dai Fenici.
Dall’altra parte del mondo, in alcune cronache giapponesi datate 268 a.C., le “Gisci-Wajin-Den, vengono menzionati i tuffatori “ama”: piccole comunità dove gli uomini, ma soprattutto le donne, si dedicano alla raccolta di ostriche, conchiglie e alghe. Trascorrevano 8-10 ore al giorno pescando in acqua ad una temperatura di circa 10°. Ritrovamenti di cumuli simili a quelli dei “Kjokkenmodinger” testimoniano una somiglianza tra due gruppi etnici lontani nel tempo e nello spazio.
Vegezio, nel “De Rei Militari”, IV secolo d.C., racconta che ai tempi dell’Imperatore Claudio, 1-45 d.C., facevano parte delle truppe romane un corpo specializzato di assaltatori subacquei, chiamati “Urinatores”, dal latino arcaico “Urinari”, immergersi in acqua.
In un passo di Plinio, viene descritta la tecnica utilizzata da questi “uomini rana” per riuscire a vedere il fondo prima dell’immersione:
“Tutto è reso tranquillo dall’olio e perciò coloro che si stanno immergendo ne spargono dalla bocca affinché mitighi la natura aspra(delle acquee)”.
La loro esistenza è documentata anche in altri testi, e confermata da ritrovamenti archeologici. Sembra che la stessa Cleopatra si sia avvalsa della loro competenza per giocare uno scherzo a MarcAntonio, appassionato di pesca con la canna: gli fece appendere all’amo un grosso pesce salato!

Leggendo queste testimonianze si evince che l’avventura subacquea avesse due motivazioni ben definite: alimentari e belliche.
Tuttavia si fanno strada innumerevoli domande e dubbi. E’ ovvio che col suo ritorno all’acqua, l’uomo si è scontrato con problemi dettati dall’adattamento fisiologico a cui si è trovata una soluzione solo in tempi recenti: la mancanza di protezione termica in un ambiente dove la temperatura corporea si disperde 25 volte più velocemente. Occhi non idonei ad una visione acquatica. Gli effetti della pressione sugli spazi d’aria ed infine, ma non meno importante, la totale dipendenza dall’aria, linfa vitale necessaria per i processi metabolici.
Allora è spontaneo chiedersi se l’avventura subacquea fosse destinata ai pochi eletti che, dotati di predisposizioni naturali riuscivano a eludere le barriere naturali imposte dall’elemento mare. Esistevano già conoscenze tali da consentire di effettuare le manovre di compensazione, necessarie ad equilibrare la pressione idrostatica esercitata sul timpano, durante un’immersione? O forse adattamenti fisiologici sono venuti incontro ai nostri antenati nella loro avventura acquatica?
In effetti, in individui di alcune popolazioni indigene del sud America, dedite alla pesca, sono state riscontrate caratteristiche, come ispessimenti del grasso sottocutaneo e funzioni metaboliche rallentate, che li rendono particolarmente idonei a prolungate permanenze in acqua.
Probabilmente la ricerca archeologica porterà alla luce nuove prove dell’immersione umana, magari antecedenti a quelle già in nostro possesso, ma difficilmente riusciranno a chiarire i dubbi che tutt’oggi non trovano risposte.

© P.f.d. & G.d.m