Biologi, il catalogo è questo

giugno 26, 2008

Da oggi i biologi marini hanno un faro nel caotico mondo della classificazione: con un inventario di circa 122.500 voci, è stato infatti inaugurato il World Register of Marine Species, ovvero il primo registro mondiale delle specie marine.

Per ufficializzare l’evento, il 20 e 21 giugno si sono riuniti a Ostenda, in Belgio, i rappresentanti degli 80 paesi (tra cui l’Italia) che hanno partecipato alle ricerche. Il progetto, avviato nel 2000, si concluderà entro l’ottobre del 2010 ed ha finora classificato la metà delle specie conosciute (circa 230mila, mentre il numero reale supererebbe il milione), raccogliendo in un archivio multimediale anche 56mila immagini e link alla classificazione tassonomica.

Dei nomi forniti dai 34 inventari regionali consultati, quasi un terzo (oltre 55mila) si sono rivelati dei sinonimi (alias) indicanti una stessa specie, denominata in modi diversi dai ricercatori che agivano all’insaputa gli uni degli altri proprio a causa dell’assenza di un inventario comune facilmente consultabile. Il migliore esempio della confusione generata dalla mancata condivisione delle informazioni è rappresentato da una spugna marina, l’Halichondria panacea, che nella letteratura tassonomica è citata dal 1766 con 56 sinonimi.

Il sistema tassonomico, che prevede due nomi in latino per indicare genere e specie, era stato elaborato nel Diciottesimo secolo da Linneo. Il Registro Mondiale chiarirà ora per sempre il nome valido per ogni specie, anche attraverso iniziative online come la ZooBank, che d’ora in poi assegnerà un’unica registrazione ufficiale, consultabile da tutti, a ogni nuova specie animale identificata. Secondo Mark Costello, ordinario dell’Università australiana di Auckland e cofondatore del WoRMS, questo progetto sarà un punto di riferimento per i biologi e i ricercatori di tutto il mondo che studiano dall’industria della pesca, alle specie invasive, agli effetti dei cambiamenti climatici. (f.g.)

fonte: Galileo


Il Messico tra il pericolo di estinzione di focene e santuari delle balene

giugno 23, 2008

MESSICO (Tierramérica). Mentre cresce l’attesa per la riunione dell’International Whaling Commission (Iwc) che si terrà a Santiago del Cile dal 23 al 27 giugno, dal Messico arriva la notizia che la focena del Golfo di California (Phocoena sinus – nella foto esemplari spiaggiati) è sempre più sul limite dell’estinzione: è passata dai 600 esemplari censiti nel 1999 ai 150 di oggi.
Si tratta di un piccolo cetaceo che raggiunge il metro e mezzo di lunghezza endemico del Messico, dove è chiamato vaquita de mar. Il governo messicano ha promesso finanziamenti destinati ai pescatori per adeguare le loro reti ed attrezzature ed evitare la cattura delle focene.
Ma Alejandro Olivera, coordinatore della campagna Oceani di Greenpeace Mexico sottolinea che «solo metodi drastici la salveranno. Solo l’eliminazione delle reti da pesca ed uno stretto controllo potranno salvarla. Il programma del governo arriva molto tardi».
La buona notizia è che alla prossima riunione dell’Iwc il Messico appoggerà la creazione del “Santuario ballenero del Atlántico sur”, che comprenderà la regione australe atlantica a partire dall’equatore. Questo renderebbe ancora più difficile la caccia “scientifica” delle balene da parte del Giappone e permetterebbe di proteggere le 54 specie di cetacei che vivono nell’area.

Fonte: GreenReport


Tonno, lo stop anticipato costa 40 milioni

giugno 23, 2008

La decisione di Bruxelles di chiudere in anticipo, al 16 giugno anzichè al 30 giugno, la campagna di pesca del tonno rosso, potrebbe costare all’Italia oltre 40 milioni di euro. A calcolare il danno economico è Federcoopesca-Confcooperative, mentre a fianco dei pescatori scende il ministro delle politiche agricole Luca Zaia, che annuncia battaglia sulla questione al prossimo consiglio europeo dei ministri della pesca del 23 giugno.
“I nostri pescatori hanno diritto a pescare. Non hanno raggiunto la quota e alcuni pescherecci non sono neanche riusciti a scendere in mare. I 40 milioni di euro di danni stimati da Federcoopesca per lo stop anticipato,  confermano che la situazione è gravissima”. Ma è soprattutto gravissima, sottolinea il ministro, per “l’atteggiamento avuto dal commissario europeo Borg che ha manifestato indisponibilità a rivedere il blocco”.
 Una chiusura stigmatizzata anche da Legapesca, che “dopo questa doccia fredda”, come sottolinea il presidente Ettore Ianì, spera ora nel prossimo consiglio europeo dei ministri della pesca. Pur rimanendo fermo sulla decisione di non riaprire la stagione della pesca al tonno, il commissario Borg ha però accettato di incontrare lunedì prossimo a Bruxelles una delegazione dei pescatori italiani e francesi che ieri hanno indetto un sit in di protesta a Malta, davanti alla sede della Ue sull’isola. La delegazione raggiungerà Bruxelles da Malta. Intanto il governo italiano viene incontro alla crisi del settore afflitto dal caro-gasolio inserendo in Finanziaria sconti fiscali sul carburante, dedicati anche ad altri settori sensibili al boom dei prezzi dei carburanti, quali autotrasporto e agricoltura. Alle proteste veementi dei pescatori dei giorni scorsi contro il caro-gasolio davanti alla Commissione europea si sono aggiunte oggi quelle di agricoltori e autotrasportatori che hanno manifestato a Bruxelles.
La pesca rimane intanto tra le priorità d’azione del ministro Zaia che ha ricordato come il decreto predisposto per il settore includa molte novità che daranno il via a una ristrutturazione più moderna e competitiva del comparto. Per arginare il caro-prezzi che si ripercuote anche sul comparto ittico, Zaia caldeggia una filiera più corta, dove si faccia ricorso per esempio a tagli sulle spese di trasporto basandosi sul prodotto localmente disponibile. In questo senso, il ministro annuncia anche di pensare a una campagna di sensibilizzazione verso il consumatore, per orientarlo maggiormente a scelte consapevoli in favore del risparmio e, insieme, della stagionalità e della sicurezza alimentare.
Nell’ambito della discussione, voglio però segnalarvi anche un’altra notizia.  Un pilota spagnolo e due pescatori italiani sono stati beccati dalla guardia costiere di Pozzallo mentre utilizzavano un aereoplano bimotore per identificare i branchi di tonni rossi nel Canale di Sicilia e segnalarli, sotto compenso, ad un peschereccio. I tre responsabili sono stati sorpresi all’interno dell’abitacolo del bimotore parcheggiato sulla pista di atterraggio di Marina di Modica e dovranno pagare una multa di 12mila euro.

Fonte: LaStampa


In Italia diecmila specie di fauna marina

giugno 23, 2008

Sono diecimila le specie di fauna marina che popolano il mare italiano. Ad affermarlo è l’ordinario di Ecologia all’Università di Genova, Giulio Relini. Il docente universitario, che è stato anche presidente della Società Italiana di Biologia marina, ha tenuto una lectio magistralis nel corso del Primo Forum regionale sulla balneazione organizzato dall’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente della Calabria (Arpacal).
Delle diecimila specie che popolano il mare in Italia, ha spiegato Relini, un migliaio “sono protozoi, un migliaio di alghe, fitoplancton e 250 specie di fitobenthos. Il nostro mare Mediterraneo è un bacino in cui è maggiore la quantità di acqua che viene persa rispetto a quella che arriva dai fiumi. Il Mediterraneo ha caratteristiche peculiari differenti rispetto a tutti gli altri mari, prima di tutto per la temperatura e per una forte differenza tra le temperature estive ed invernali con zone, come l’Adriatico e l’Egeo, in cui le temperature sono relativamente basse: è un mare oligotrofico perchè riceve pochi nutrienti dall’Atlantico e solo dai grandi fiumi europei che in esso sfociano”.
“In base a questo documento – ha detto ancora Relini – è possibile conoscere le specie presenti e pianificare azioni per lo studio e la loro protezione. La protezione della nostra biodiversità marina, e la ricchezza dell’habitat marino, rappresentano un obbligo vitale per le prossime generazioni che vivranno su questa Terra. La conoscenza è propedeutica alla protezione ed alla gestione delle risorse marine”.

Fonte: LaStampa


In Calabria primo nido di tartarughe Caretta Caretta

giugno 23, 2008

È la Calabria la regione prescelta dalle tartarughe marine: il 70% delle deposizioni di «Caretta caretta» avviene infatti lungo le coste calabresi. Lo rende noto il Wwf.
«Comincia il periodo di nidificazioni nel Mediterraneo per la Caretta caretta: dopo Grecia, Siria, Libano e Israele – si legge in una nota dell’associazione ambientalista – anche l’Italia dà il benvenuto ai primi nidi delle tartarughe marine quest’anno. È accaduto lungo le coste della Calabria, una regione ricca di spiagge adatte alla nidificazione ma anche tra le più aggredite dal cemento. Risale alla settimana scorsa il primo rinvenimento di un nido di tartarughe Caretta caretta. Il 14 giugno, sul lungomare di San Sostene (in provincia di Catanzaro) alle prime luci dell’alba, un residente del luogo si è accorto della presenza sulla spiaggia di una tartaruga in deposizione e ne ha filmato le ultime fasi.
Del fatto sono stati informati la Guardia Costiera e il Wwf Calabria, che ha immediatamente avvertito i ricercatori del Dipartimento di Ecologia dell’Università della Calabria, da anni impegnati nel più importante progetto di ricerca e conservazione sui siti di nidificazione della tartaruga marina in corso in Italia. Valutata la condizione di estremo rischio del sito di deposizione, gli esperti dell’Università hanno deciso, con l’appoggio della Guardia Costiera e d’accordo con il sindaco di S. Sostene, di traslocare il nido in un sito limitrofo che garantisse le migliori condizioni di idoneità ambientale e di sicurezza per le uova. Per queste ragioni, la sua localizzazione esatta non è stata per ora resa pubblica.
Lo sarà però al momento della schiusa (tra 45 e 70 giorni dopo la deposizione), così che tutti gli interessati possano assistere alla nascita delle piccole tartarughe e condividere con i ricercatori dell’Università e con il Wwf il »magico« evento.
La scoperta del nido è stata l’occasione per il Wwf Italia e l’Università di Calabria di presentare la loro collaborazione per il progetto TartaCare, un programma di ricerca sulla distribuzione e sullo status della tartaruga Caretta caretta lungo le coste ioniche, in collaborazione con le Università di Tor Vergata, di Firenze e di Pisa, e con la Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli. Il progetto vede coinvolto il Wwf Italia e la sezione regionale dell’Associazione nell’assicurare azioni costanti di conservazione e di sensibilizzazione in un’area che si è rivelata la più importante per la nidificazione della Caretta caretta in Italia, e che va pertanto tutelata.
«La costa ionica della Calabria, inclusa nel tratto costiero da Capo dell’Armi a Capo Bruzzano, ospita il maggior numero di nidi della specie marina in Italia – afferma Antonio Mingozzi, docente del Dipartimento di Ecologia dell’Università di Calabria – negli ultimi 5 anni ben 60 nidi su 86, il 70% dei nidi italiani sono situati in questo tratto costiero, che il Wwf e all’Università di Calabria si impegnano a monitorare e a salvaguardare».
Il programma, attivato nel 2000 dal Dipartimento di Ecologia dell’Università di Calabria, si avvale del contributo del Ministero dell’Ambiente, e dal 2003 ad oggi ha potuto seguire la nascita di 3650 tartarughe.

Fonte: LaStampa


La pesca illegale non si ferma

giugno 17, 2008

Ormeggiato al porto siciliano di Porticello-Porto Bagnera, il peschereccio Giuseppina Madre ostenta senza pudore il suo efficientissimo “arsenale” : una decina di chilometri di reti di nylon alte più di trenta metri che in alto mare oscillano sotto l’azione delle correnti e catturano gli animali avvolgendoli tra le sue maglie. Si tratta delle cosiddette spadare, ancora ampiamente utilizzate in Italia per la cattura di tonno e pesce spada, nonostante la normativa europea le abbia messe al bando nel 2002.Di imbarcazioni come quella siciliana Oceana, l’organizzazione internazionale per la conservazione marina, ne ha contate più di un centinaio concentrate per lo più in alcuni porti tra cui Sorrento, Sant’Agata di Militello, Lipari, Ponza, Bagnara Calabra.
Con tanto di foto, questa flotta abusiva è finita in calce al Rapporto “Reti derivanti italiane: la pesca illegale non si ferma” presentato lo scorso 9 giugno a Roma da Oceana insieme all’associazione Marevivo.  Una cinquantina di pagine in cui sono riportati i risultati di tre campagne (2005, 2006, 2007)  nelle acque del Belpaese: a sei anni dall’entrata in vigore della legge il tasso di violazioni  è ancora altissimo e in alcuni dipartimenti marittimi, come Milazzo, il 36 per cento dei pescherecci mantiene a bordo reti derivanti (21 per cento a Palermo, 9 per cento a Reggio Calabria). Evidentemente i compensi ricevuti grazie ai vari “Piani spadare”, oltre 900.000 euro negli ultimi tre anni, per la riconversione ad altre attrezzature non hanno soddisfatto le ambizioni di guadagno dei pescatori, che lamentano un calo medio del 25 per cento del profitto.
I primi sussidi i pescherecci italiani cominciarono a riceverli già nel 1998, quando la guerra alle spadare era appena cominciata e i regolamenti europei imponevano solamente una graduale riduzione della  lunghezza delle reti (fino a 2,5 metri). Ma anche allora la misura massima imposta per legge veniva violata con estrema disinvoltura come denunciava a Galileo Iliaria Ferri degli Animalisti italiani (Il ritorno delle spadare): “In Italia si sono continuate ad usare reti di lunghezza assai superiore fino a 18-20 chilometri, provocando danni gravissimi alla fauna del Mediterraneo”.
Note infatti anche come “muri della morte”, le spadare sono responsabili della cattura accidentale (bycatch) di specie protette come delfini e tartarughe marine e si calcola che 10.000 cetacei muoiano ogni anno impigliati nelle nelle loro trame (Reti fuorilegge ). Tanto che l’Unione Europea si era sentita in dovere di correre ai ripari con l’adozione di alcuni strumenti che aiutassero i delfini a evitare quelle trappole letali, tra cui i tanto criticati dispositivi acustici di dissuasione (cosiddetti “pinger”) a bordo dei pescherecci (Segnaletica per delfini). 
Ma  le spadare non risparmiano neanche gli squali del Mediterraneo, oramai ridotti al lumicino secondo un recente studio italiano pubblicato su “Conservation Biology” (Squali addio): “Non è meno preoccupante la cattura di varie specie di elasmobranchi”, si legge nel Rapporto di Oceana. “Le prove a nostra disposizione indicano che l’abbondanza e la diversità di queste specie nel Mediterraneo è in declino, oltre a trovarsi in uno scenario ben peggiore rispetto al resto delle popolazioni del mondo”.
Inoltre, a rendere insicure le acque italiane contribuiscono altre attrezzature per la pesca, vietate nel resto d’Europa, ma permesse da noi grazie a un decreto ministeriale del 2006. E’ così infatti che da un paio di anni sono riaffiorate dalle acque del Mediterraneo le “ferrettare”, gemelle più piccole delle spadare, che la normativa europea del 2002 accettava solo a  determinate condizioni: uso a una distanza dalla costa inferiore alle tre miglia, lunghezza massima di due chilometri. Il decreto invece ha ampliato i margini: impiego fino a 10 miglia nautiche dalla costa e lunghezza fino a 2,5 metri,  rendendo la “pesca all’italiana” un pericoloso precedente che altri paesi europei potrebbero essere tentati di seguire (Nella rete per distrazione).
Per evitare quindi il rischio che ogni paese possa legiferare a seconda delle proprie esigenze, Oceana chiede innanzitutto al governo italiano di revocare il decreto sulle ferrettare e inoltre invita le istituzioni italiane ad aumentare i controlli nei porti e in mare grazie all’impiego di “scatole nere” che consentano il controllo dell’attività via satellite, a rendere più trasparenti i dati, a esigere il rimborso dei contribuiti percepiti e il ritiro delle licenze in caso di violazioni accertate. Attirandosi, inevitabilmente, le antipatie di tanti pescatori. Si avrà il coraggio di farlo?

Fonte: Galileo

Pensiero dello staff di Mediterraneo…Forse, non si tratta solo di una questione di coraggio. Ma di impegno reale. Purtroppo anni di pesca selvaggia hanno impoverito i nostri mari. Nessuno può dire il contrario. Ma crediamo che debba essere tutelato anche l’onesto pescatore, che si ritrova con l’acqua alla gola e non riesce più a provvedere ai bisogni della famiglie. 
Come al solito, non si cerca di trovare la giusta misura nelle cose.
Lo stato italiano è assente. I soldi dei contribuenti vengono sperperati inutilmente, e non si realizzano mai normative che tutelino pesca e pescatori. Il problema primario, sono le intercettazioni
Siamo daccordo alla regolamentarizzazione. Ma se poi mancano i controlli? Gli onesti pagheranno sempre prezzi troppo alti. Non si può solo vietare. Bisogna proporre valide alternative. Perchè se queste mancano, è ovvio che ci ritroveremo sempre con pescherecci che usano mezzi illegali.
Eppure, nonostante se ne faccia un gran parlare, siamo sempre allo stesso punto…
Riportiamo sotto 2 commenti lasciati all’articolo “Tonno rosso, pesca illegale con aerei tra Malta e Lampedusa” . Esprimono tutto il disagio riguardo al problema. Non possiamo non essere solidali. E’ facile, come scrive Erika, parlare quando si hanno le tasche piene…

“Erika
Non ne possiamo più di tutte le vostre assurdità,noi non possiamo vivere….andate a lavorare piuttosto che disturbare chi lavora onestamente,la nostra pesca non è una pesca “pirata”come la chiamate voi,i nostri genitori rischiano in mare per farci vivere e voi non siete nessuno per ostacolarci.La quota è stata rispettata,adesso non scocciate controllate chi piuttosto non la tiene e non ha neanche il permesso per pescare.Ambientalista fino a un certo punto,non penso che voi non mangiate la carne!Avete le tasche piene,noi non possiamo mangiare….a questo punto dateci voi i soldi per vivere e noi non andiamo più a lavorare,capito?avete messo un paese in ginocchio,quante famiglie ora non possono vivere,lo sapete?!?!è una vergogna

“Milena
Le tonnare di Cetara non sono altro che i sacrifici di una vita…una vita dedita al lavoro .. ma cosa ne sapete voi che non fate niente dalla mattina alla sera ..


La città delle stelle

giugno 16, 2008

A mille e quattrocento chilometri a sud della Nuova Zelanda c’è una singolare “città”, abitata da milioni di stelle marine. Su un altopiano sommerso di circa cento chilometri quadrati, fra i coralli, è stata infatti scoperta un’immensa colonia di ofiure (echinodermi), invertebrati simili alle stelle che conosciamo, concentrate a milioni, che lì sfruttano il passaggio di cibo trasportato dalle correnti e trovando riparo dai predatori. La scoperta della “Brittlestar City”, come viene chiamata dai ricercatori dal nome inglese delle ofiure, rivela l’esistenza di un ambiente mai osservato prima che potrà fornire interessanti informazioni sull’ecosistema.

Il Macquarie Ridge è uno dei 100mila monti sommersi conosciuti, solo 200 dei quali sono stati studiati nei dettagli. Già noto ai pescatori per la sua ricchezza, si eleva dagli 850 metri di profondità fino ai 90 metri sotto il livello dell’acqua a cui si trova la sua sommità. Per le ofiure è sufficiente stendere le braccia per intercettare e filtrare i microrganismi trasportati dalla corrente circumpolare, che in quel punto si muove a circa quattro chilometri orari. Il numero degli individui, che vivono a strettissimo contatto gli uni con gli altri, è stato calcolato intorno a qualche decina di milioni.

La scoperta è stata effettuata nel corso di una campagna di censimento degli organismi marini condotta dal New Zealand’s National Institute of Water and Atmospheric Research nell’ambito del programma neozelandese CenSeam (Census of Marine Life seamount programme). I biologi, a bordo della nave oceanografica “Tangaroa”, hanno scattato fotografie di questa immensa colonia, considerata il più grande agglomerato di organismi filtratori mai osservato su un rilievo sottomarino, se si escludono i coralli e le spugne. Le apparecchiature della Tangaroa hanno permesso anche di descrivere la morfologia della formazione sommersa e di raccogliere dati utili alla sua caratterizzazione. I numerosi campioni biologici raccolti, che saranno analizzati nei prossimi anni, permetteranno inoltre di descrivere nel dettaglio la composizione della fauna e della flora presenti. (s.s.)

Fonte: Galileo
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DAL 23 IN CILE IL SUMMIT SALVA-BALENE

giugno 16, 2008

Si terra’ in Cile dal 23 al 27 giugno la riunione della Commissione Baleniera Internazionale (IWC). L’Europa partecipa forte dea decisione del Consiglio dei ministri UE dell’Ambiente che ha sottoscritto una posizione comune per la protezione delle balene, cui la Commissione chede di dare seguito aderendo con forza alla moratoria del 1986 sulla caccia alle balene a scopi commerciali, e sostenendo la lotta contro la caccia alle balene, mediante un fronte comune con la IWC. Proprio la coesione deve essere la base, secondo gli auspici della Commissione, per poter giungere ad una politica unica in ambito europeo e per assumere la leadership nella lotta internazionale alla caccia alle balene. Si tratta, infatti, di una specie marina in via di estinzione, oltre che componenti di un sistema biologico dall’equilibrio precario. Gli sforzi europei rischiano di essere comunque vani, se non saranno sostenuti da un’azione internazionale coerente in merito allo sviluppo di una struttura internazionale omnicomprensiva. La messa al bando sul commercio internazionale delle balene necessita, dunque, ancora di sostegno. La caccia alle balene e’ vietata nelle acque comunitarie e la loro protezione e’ tutelata dalle norme comunitarie. Sono invece previste deroghe a vantaggio di particolari popolazioni aborigene, nel rispetto di quanto previsto dalla Convenzione della IWC. Il rapporto presentato dalla Commissione nel dicembre 2007 mette in rilievo soprattutto la necessita’ di dare vita ad una piattaforma unica internazionale a livello normativo e di sorveglianza per la lotta contro la caccia alle balene. Proprioa questo fine incoraggia la costituzioni di un fronte unico con l’IWC. La Convenzione internazionale che regola la caccia alla balena serve non soltanto a proteggere le popolazioni di specie minacciate di estinzione, ma mira anche a garantire lo sfruttamento sostenibile di altre popolazioni di balene, basandosi su moderni metodi di gestione. In occasione della prossima sessione verranno trattati alcuni temi cruciali: la veridicita’ delle stime recenti della dimensione delle diverse popolazioni di balene; le valutazioni sul volume della caccia alle balene a scopi scientifici e sulla caccia alle balene praticata vicino alle coste. Verra’ inoltre fatto il punto sullo statodi salute dei cosiddetti santuari delle balene e sull’ impatto di fattori ambientali negativi sulle popolazioni di balene ai diversi livelli di tutela. Il mandato dell’IWC riguarda principalmente la prevenzione del ritorno ad una incontrollata caccia alla balena su larga scala. La Convenzione Internazionale per la Regolamentazione della Caccia alla Balena (ICRW) del 1946, fu negoziata prima che venissero comprese appieno e riconosciute le minacce alla salvaguardia dei cetacei. Ad oltre cinquant’anni da quando e’ stata adottata la Convenzione, i problemi non si limitano piu’ alla minaccia costituita dalla caccia a fini commerciali, ma riguardano l’inquinamento dei mari, il cambiamento climatico, il by-catch, la sovrappesca.

Fonte: Ansa


Tutela orsi, il Canada non seguirà gli Usa

giugno 16, 2008

Il Canada non ha intenzione di seguire gli Stati Uniti sulla strada della protezione degli orsi polari, dopo l’annuncio di Washington di inserire gli animali nell’elenco delle specie protette dal governo federale americano. Il Canada ospita circa due terzi degli orsi polari del mondo, pari a circa 15.500 esemplari.

Il ministro dell’ambiente canadese, John Baird, ha detto che il suo governo non ritiene di dar vita a iniziative simili, visto anche che le conclusioni degli studi governativi in materia hanno indicato in Canada che la situazione degli orsi è di quelle di “particolare preoccupazione”, ma che non ci sono rischi d’estinzione (come invece ritengono gli scienziati del governo americano).

Fonte: LaNuovaEcologia


Pierre, il pinguino calvo…

giugno 16, 2008

 

Il vecchio Pierre, un pinguino di 25 anni, per colpa della vecchiaia, aveva cominciato a perdere lo strato di piume termiche, indispensabili a queste creature per non morire di freddo.
Privato dello strato protettivo di grasso che isolava il corpo dalle basse temperature, si stava lasciando morire.
Per risolvere il problema,  gli scienziati e i biologi marini dell’Academy of Sciences di San Francisco hanno pensato di realizzargli una muta su misura!
Dopo sei settimane, Pierre ha ricominciato a mangiare e ha ritrovato la voglia di tornare in acqua insieme agli altri pinguini!
La notizia è un pò vecchiotta, risale ad aprile. Eppure, mi son detta:
“Perchè ignorare il lavoro di uomini che cercano di rendere la vita migliore anche ad un solo vecchio pinguino?”
Tra le tante cattiverie che quotidianamente si perpetrano ai nostri compagni di viaggio, questa bella notizia, non poteva non essere pubblicata…

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